Nel 1974 fu organizzato il primo torneo di karate full contact a Los Angeles. Di lì a poco nacque la Professional Karate Association, il circuito professionistico americano: i campioni più acclamati di quegli anni furono Joe Lewis e Bill Wallace, “la gamba sinistra più veloce del mondo”. Le differenze tra il karate (che letteralmente significa “a mani nude”) e il karate full contact riguardavano l’uso delle protezioni. Sulla base di ciò la federazione internazionale di karate impose che venisse cambiato il nome del nuovo sport in kickboxing per l’impiego di protezioni presenti nel karate full contact, diversamente dalla disciplina tradizionale che non le contemplava nel proprio regolamento. La kickboxing sbarcò anche in Europa e si sviluppò grazie all’attività del francese Dominique Valera e del tedesco Georg Bruckner, che nel 1976 a Berlino organizzarono il primo torneo di valore mondiale, tra una rappresentativa americana e una europea. Attualmente non esiste un organismo unico che governi la kickboxing nel mondo: le due principali sigle sono la World Association of Kickboxing Organizations (Wako) e la International Amateur Kickboxing Sport Association (Iaksa).
La kickboxing italiana, da un punto di vista organizzativo, riflette la divisione esistente a livello mondiale: questo sport infatti fa riferimento da una parte alla Federazione Italiana di Kickboxing e Discipline Associate (Fikeda, ex Federazione Italiana Arti Marziali), legata alla Wako, e dall’altre parte alla Iaksa Italia, una sezione della International Amateur Kickboxing Sport Association. Queste realtà hanno entrambe visto la luce a metà anni ’70; il primo pioniere è stato il dott. Gianni Bellettini.
Ogni disciplina di kickboxing stabilisce in modo diverso il vincitore dell’incontro. Lo scopo dell’atleta (fatto eccezione delle forme musicali) è comunque sempre quello di colpire l’avversario nel rispetto del regolamento, sia che la vittoria venga assegnata in base al punteggio totalizzato dall’atleta sia per il colpo inferto all’avversario.
Le specialità di kickboxing previste dal regolamento (fedele alla suddivisione internazionale) della Federazione Italiana Kickboxing e Discipline Associate, sono cinque: semi contact, light contact, full contact, low kick e forme musicali. A eccezione di queste ultime, si tratta di combattimenti, basati sull’uso di calci e pugni, tra due contendenti.
Raccogliendo l’eredità delle tradizionali discipline di lotta orientali, ne costituisce un’evoluzione più vicina ai gusti occidentali: i puristi, infatti, non la considerano un’arte marziale vera e propria. Le numerose specialità in cui si suddivide, prevedono l’uso sia dei pugni che dei calci.
Le origini
Nel corso degli anni ’60 in Giappone, grazie al maestro Kurosaki, il karate si era sviluppato verso forme di contatto reale tra i lottatori; questa evoluzione delle arti marziali trovò negli Stati Uniti un terreno favorevole per attecchire. Già durante il secondo dopoguerra, in America si era verificata una diffusione significativa delle arti marziali orientali, ma fu solo negli anni ’70 che venne ideata una nuova forma di combattimento, in cui i lottatori si colpivano realmente, con contatto pieno. Per rendere meno cruento e pericoloso questo sport, simile al karate, gli atleti indossavano guantoni da boxe e le speciali protezioni per i piedi introdotte da Joohn Rhee. Nasceva il karate full contact, una disciplina criticata e osteggiata dai puristi delle arti marziali, fautori del controllo del colpo.
Semi contact:
Si può attaccare solo la parte frontale e laterale del tronco e del viso, e la nuca, con colpi di pugno (chiuso o a mano aperta) e di calcio. Vale 1 punto ogni tecnica di pugno o taglio della mano che tocchi il bersaglio in modo controllato, e ogni colpo di calcio, con piede in appoggio, che tocchi il tronco. Vengono assegnati 2 punti se il calcio tirato saltando (quindi senza appoggio) tocca il tronco e quello che colpisce il volto o la nuca, mentre l’altro piede è in appoggio. 3 punti si attribuiscono infine a quella tecnica di calcio che giunge al volto o alla nuca senza che il lottatore abbia alcun piede in appoggio. Come nelle gare di karate, il round viene sospeso ogni qual volta venga portato a segno un colpo. Vince il combattente che a fine incontro ha totalizzato il punteggio più alto.
Light contact:
I lottatori possono attaccare solo la parte frontale e laterale del tronco e del viso, con colpi di pugno e di calcio. Ogni tecnica di pugno e di calcio che tocchi il bersaglio deve essere controllata. A differenza del semi contact, nel light contact l’azione fluisce continua, senza interruzioni.
Full contact:
I lottatori usano i calci e i pugni. È consentito colpire con l’avampiede, con il taglio del piede, con il collo del piede, con il tallone e con i pugni ben chiusi nella loro parte frontale e dorsale. L’avversario può essere colpito solo nella parte frontale e laterale della testa e del corpo, dalla cintola in su. Essendo una specialità basata sul contatto pieno e sul colpo portato con forza, il full contact prevede il “Ko”, sia effettivo che tecnico. Se nessuno dei combattenti subisce un “Ko”, vince quello che ha ottenuto il punteggio più alto, calcolato sommando il punteggio attribuito dalla giuria in ogni round.
Low kick:
È un tipo di combattimento che utilizza tutte le tecniche del full contact, a cui si aggiunge la possibilità di usare la tibia nel calciare in ogni parte del corpo e di attaccare le cosce dell’avversario in ogni loro parte. Giuria e regolamento sono gli stessi del full contact.
Forme musicali:
È una specialità in cui la lotta viene solo simulata: le coreografie coniugano la musica con i colpi che l’atleta sferra contro un avversario immaginario. L’atleta si esibisce a mani nude o con armi della tradizione orientale; la vittoria si basa sulle valutazioni di merito espresse dalla giuria.
KICK BOXING: LA STORIA
Calci e pugni. Non potrebbe essere più semplice e significativo il nome di quella disciplina – la kick boxing – considerata la più “occidentale” nel vasto panorama degli sport da combattimento. Nata attorno alla prima metà degli anni Settanta negli Stati Uniti sull’onda dei tanti film di kung fu provenienti dal lontano Oriente, la kick boxing riesce a fare immediatamente breccia tra gli appassionati americani. Colpi spettacolari, match molto duri ma stilisticamente apprezzabili e comprensibili anche per un pubblico inesperto.
Nella patria degli sport “telegenici” la kick boxing ottiene un immediato successo e, nelle palestre, si trasforma rapidamente in una vera e propria moda. Negli Usa infatti le arti marziali orientali vantavano un buon numero di praticanti, ma non erano particolarmente amate dal pubblico, che ha sempre reputato gli incontri troppo monotoni e i colpi controllati poco “veritieri”. E così i primi match a contatto pieno di kick boxing riscuotono un vero successo, sfruttato in particolare dal promoter Mike Anderson, il primo a capire l’importanza di codificare questa nuova disciplina e studiare un regolamento preciso. Per la storia dello sport, il primo torneo ufficiale di arti marziali a contatto pieno si disputa a Los Angeles nel settembre del 1974 e viene denominato “karate Contact”. Ben presto nasce anche la prima sigla, la PKA, Professional Karate Association. In Italia il karate contact nasce nel 1975 con l’AIKAM del dott. Bellettini; sempre l’AIKAM porta per primo in Italia, per una serie di stage, nel 1977 Bill Wallace, il più grande campione di tutti i tempi. Dopo qualche tempo il fenomeno sportivo si divide in due federazioni mondiali, da una parte la IAKSA (dove siamo noi) e dall’altra parte la WAKO.
Perché praticare la kickboxing?
La kickboxing, disciplina poco conosciuta o mal interpretata, da molti viene spesso snobbata, messa da parte o ancor peggio identificata come un semplice sport dove violenti si picchiano senza alcuna regola (in poche parole una vera rissa da strada) ma posso dire che non è così. Molti si spacciano per grandi maestri o pluri campioni del mondo di federazioni sconosciute che non insegnano nulla di costruttivo per il futuro delle arti marziali. Nella mia breve esperienza posso dire che ci sono più motivi per praticare/insegnare kickboxing. Il primo è un bellissimo sistema per mettersi in forma con esercizi che rafforzano e tonificano tutto il corpo, lo scolpiscono senza renderlo grosso e goffo, aumentano la forza, la velocità e la capacità cardio polmonare, insomma è un bel sistema per tenersi in forma. Il secondo motivo per cui seguire la kickboxing è che quest’ultima è un cammino formativo che porta ad un maggior autocontrollo, una conoscenza dei propri limiti e una sicurezza di sé maggiore. Infine la sensazione che trasmette è quella di percorrere una strada che, traguardo dopo traguardo, ci porta a sviluppare tecniche di combattimento, forme e automatismi che nulla invidiano alle più belle arti marziali giapponesi.