L’immagine del karate
L’immagine del karate si basa principalmente su due elementi: la sagoma del karateka – vestito con un kimono bianco e il cui livello è riconoscibile per il colore della cintura – e la forma molto organizzata degli allenamenti collettivi. Abbiamo visto che la forma ritualizzata degli allenamenti corrisponde all’adattamento del karate all’insegnamento scolastico, effettuato all’inizio del secolo XX da A. Itosu e dai suoi allievi, e che era stato loro ispirato dai metodi di addestramento militare che il Giappone aveva adottato seguendo il modello degli eserciti francese e tedesco. L’origine della divisa di karate è ancora più recente.
Il kimono bianco
Per precisare l’origine del kimono bianco da karate, che gli occidentali spesso pensano risalga a un’antica tradizione giapponese, citerò la testimonianza di S. Gima, allievo di G. Funakoshi. In un’intervista datata 1986, il suo interlocutore gli pone la seguente domanda: «Il 17 Maggio 1921 il Maestro Jigoro Kano l’ha invitata con il M° G. Funakoshi al proprio dojo Kodokan per una presentazione dell’Okinawa-karate-jutsu. Che tipo di indumento portaste per quella dimostrazione?»
S. Gima risponde: «A quell’epoca non esisteva un abito da allenamento particolarmente concepito per il karate. II Maestro Funakoshi andò ad acquistare un tessuto di cotone bianco da un grossista a Kanda e confezionò egli stesso l’abito a mano, copiando l’abito da judo (judogi). Questo vestito era gradevole da indossare, perché era leggero, ma aveva l’inconveniente di appiccicarsi al corpo con il sudore. A dire il vero, era un abito che egli aveva confezionato frettolosamente, non appena eravamo stati informati della data della dimostrazione. Non era quindi un abito che si poteva utilizzare per l’allenamento quotidiano. Io pensavo di mettere un kimono da judo, poiché praticavo anche il judo. Prima della dimostrazione avevo dunque preparato il mio judogi ben lavato. Ma il giorno stesso della dimostrazione il Maestro Funakoshi mi ha dato un abito che aveva confezionato per me con le proprie mani lavorando tutta la notte. Dandomelo mi ha detto: “Dovremo forse presentare insieme alcune forme di combattimento. Se mettiamo ciascuno un abito differente, non sarà armonioso. Ho confezionato anche il suo, lo prenda ».
Questa testimonianza dimostra che l’abito bianco, che è pressoché diventato un uniforme per il karate, risale al 1921. Prima non esisteva un abito fissato convenzionalmente per la pratica del karate. Ci si allenava sia con gli abiti di tutti i giorni, sia a torso nudo, in pantaloni corti o con la biancheria intima. Ricordiamo che il clima di Okinawa è caldo, e soprattutto molto caldo in estate; il problema dell’abito non si poneva quindi nello stesso modo che a Tokyo, dove l’inverno è rigido. Questo kimono bianco, che è diventato progressivamente un indumento abituale e poi l’indumento ufficiale del karate, sarà introdotto a Okinawa come una nuova forma della tradizione. Quanto al kimono del judo (judogi), esso proviene dal jujutsu. La qualità e il colore del vestito variavano a seconda delle scuole. Di solito ognuno lo confezionava seguendo il modello in uso nel proprio dojo. E’ a partire dal 1880 circa che il judogi viene progressivamente uniformato.
Il colore delle cinture del karate
Ecco il seguito della testimonianza di S. Gima:
“Quanto alla cintura, pensavo di mettere la mia cintura nera di judo e chiedere in prestito una cintura nera per il maestro Funakoshi a un compagno del pensionato. Allora, il maestro Funakoshi disse: “Non posso mettere la cintura nera di judo, perché non conosco il judo. Sarebbe villano portare la cintura nera di judo davanti a grandi adepti di judo. Si faccia prestare una cintura bianca da uno studente del pensionato”. Era estremamente corretto e rifiutava ciò che non era giusto. Era un educatore. Ma se il maestro Funakoshi metteva una cintura bianca, io non potevo mettere la mia cintura nera. Avevamo perciò bisogno di due cinture bianche. Sfortunatamente non avevamo potuto trovarne due tra i pensionanti e il momento della dimostrazione si avvicinava. Abbiamo deciso di trovare una buona soluzione giunti al Kodokan. Abbiamo esposto il problema al segretario e ricevuto la risposta dal Maestro Kano: “Mettetevi la cintura che avete”. Abbiamo allora preso ciascuno una cintura nera di judo; ma il Maestro Funakoshi, essendo una persona di un’onestà scrupolosa, non appena la dimostrazione fu terminata, cambio la cintura con quella del suo kimono da città “.
Le cinture bianca e nera sono state quindi utilizzate prima nel judo. Questa testimonianza ci lascia supporre che sia a partire dal sistema del judo, che il kimono bianco e le cinture bianca e nera siano state introdotte nel karate. La tenuta di G. Funakoshi e S. Gima, nel 1921, sarà ripresa a poco a poco dagli altri e si fisserà come modello per il karate.
Quest’espressione implica che il colore della cintura esprima il livello del praticante. Le cinture di colori diversi sono un’invenzione recente. Dopo gli anni Cinquanta, i colori si sono moltiplicati dapprima nel judo, poi, con una decina d’anni di ritardo, questo sistema è stato ripreso nel karate. E oggi, il colore delle cinture assume via via più varietà. Tra la nera e la bianca si trovano la gialla, l’arancione, la verde, la blu e la marrone. Inoltre, per marcare bene la posizione di Maestro, si sono fabbricate cinture rosse o bicolori, rosse e bianche. L’idea dell’associazione tra il colore della cintura e il grado si è fissata quando è stata stabilita una forma semplificata di pratica del judo. Prima della formalizzazione del judo, si indossava ufficialmente l’hakama (pantalone largo) sopra l’abito da allenamento; così non si vedeva più la cintura, di cui si ignorava il colore. Invece quando J. Kano ha formalizzato l’abito da allenamento con un kimono bianco, un semplice pantalone e una cintura sopra al kimono, il colore della cintura è diventato visibile. Di qui l’idea di distinguere il livello dal colore della cintura.
I gradi
All’inizio, nel judo, si applicava una divisione in cinque gradi e non in dieci, come al giorno d’oggi. J. Kano ha rilasciato per la prima volta un grado di 1° dan a due suoi allievi, Tsunejiro Tomita e Shiro Saigo, nel 1883. Allora aveva solo 23 anni. Elaboro le varie tecniche di judo esercitandosi quotidianamente con i suoi allievi. La maggior parte delle tecniche di judo sono state formalizzate e denominate, d’altronde, nel corso dell’allenamento con i suoi allievi. J. Kano scrive: “Shiro Saigo era il mio più grande partner, insieme abbiamo trovato ed elaborato le tecniche del judo attuale”. Secondo J. Kano, il livello di pratica di S. Saigo non era lontano dal suo, ciò che, a rigor di logica, significa che all’epoca, se J. Kano gli ha attribuito il 1° dan, egli stesso non sarà stato più del 2° dan. E’ con un livello che non andava oltre il 2° dan, e all’età di 23 anni, che egli ha fondato il judo. Tuttavia il contenuto e la qualità di questo 2° dan non sono gli stessi di oggi. E’ così che all’inizio del judo egli non ha avuto bisogno di creare molti gradi. La loro creazione è andata di pari passo con la progressione di J. Kano e dei suoi allievi e con l’espansione del suo gruppo che formava il dojo Kodokan. Nel corso degli anni Venti, J. Kano dà questo consiglio a G. Funakoshi: “Deve applicare un sistema di gradi, se desidera dare una diffusione al karate”. E’ nel 1924 che G. Funakoshi rilascia i suoi primi diplomi di 1° dan a S. Kasuya e S. Gima; per la prima volta, il sistema dei diplomi era applicato nel karate. Gli altri maestri di karate faranno progressivamente lo stesso. All’inizio, come nel caso del judo, è stato applicato un sistema in cinque gradi, poi, molto rapidamente, si passerà a dieci gradi.
Resta un’altra domanda: a partire da quale momento si è cominciato a utilizzare il termine dan? Il termine dan era in uso in diverse discipline per esprimere il grado di una persona nelle diverse tappe della pratica della sua arte. Era utilizzato nella scuola Jigen-ryu, di spada giapponese; era anche in uso nella pratica del gioco del go fin dall’epoca Edo. Si utilizzava generalmente il termine dan per esprimere una progressione in tre gradini: sia shodan, nidan e sandan, che shodan, chudan e jodan. Tuttavia, nel budo giapponese si utilizzavano generalmente i termini kirigami, mokuroku e menkyo, per designare le tre tappe della progressione. Esistevano però delle eccezioni e alcune scuole avevano una classificazione di gradi in sei, sette oppure otto dan. Il Butoku-kai, organizzazione ufficiale che raggruppava tutte le discipline del budo, fissò, nel 1902, le modalità di attribuzione del titolo di maestri nel budo. Questo comporta tre gradini, in ordine crescente: Renshi, Kyoshi e Hanshi. L’esame è organizzato dall’associazione dei maestri di budo di più alto grado del Butoku-kai, la cui sede è a Kyoto. Il Butokukai sarà sciolto dopo la seconda guerra mondiale e i diplomi cesseranno di essere rilasciati.